Cecilia dava continuamente l’impressione non tanto di mentire quanto di non essere capace di dire la verità; e questo non perché fosse bugiarda ma perché dire la verità sarebbe stato già avere un rapporto con qualche cosa e lei non pareva aver rapporti con niente. A tal punto che, quando mentiva davvero (e si vedrà che era capacissima di farlo), si riportava quasi l’impressione che, sia pure in maniera negativa, Cecilia dicesse qualche cosa di vero, appunto a causa di quel tanto di partecipazione, ossia di verità che comporta qualsiasi menzogna.“Diceva: una volta o l’altra ci lascio la pelle. Io gli dicevo allora che doveva fare attenzione, ma lui rispondeva che non gli importava.”
“Non gli importava?”
“No.” Quindi, con aria vaga e come ricordando con sforzo: “Anzi, adesso che ci penso, ricordo un giorno che facevamo l’amore e mi disse: continua, continua, continua, vorrei che tu continuassi senza tenere conto di me, anche se protesto, anche se mi sento male, e mi facessi morire, ma davvero morire.”
“E tu?”
“Allora non diedi peso a queste parole. Ne diceva tante. Ma tu mi ci hai fatto pensare.”La conformazione stessa dei due sessi, di difficile accesso quello femminile, incapace quello maschile di dirigersi verso il suo scopo in maniera autonoma come il braccio o la gamba e bisognoso, invece, di essere aiutato da tutto il corpo, mi pareva indicativa dell’assurdità del connubio. Da questa sensazione dell’assurdità del rapporto fisico, a quella dell’assurdità di Cecilia medesima, non c’era che un passo. Così la noia, al solito, distruggeva dapprima il mio rapporto con le cose e poi le cose stesse, vanificandole e rendendole incomprensibili. Ma il fatto nuovo, questa volta, era che di fronte a Cecilia ridotta ad oggetto assurdo, la noia, forse a causa dell’abitudine sessuale che avevo contratto e che non ritenevo, almeno per ora, di dovere interrompere, non si limitava a ispirarmi freddezza e indifferenza bensì oltrepassava questi sentimenti o meglio questa mancanza di sentimenti e si trasformava in crudeltà.