TARDELLINO对《Lettere ad Amelia Rosselli》的笔记(3)

TARDELLINO
TARDELLINO (旧时邺下刘公干,今日辽东管幼安)

读过 Lettere ad Amelia Rosselli

Lettere ad Amelia Rosselli
  • 书名: Lettere ad Amelia Rosselli
  • 作者: Alberto Moravia/Simone Casini (cur.)
  • 副标题: con altre lettere familiari e prime poesie
  • 页数: 361
  • 出版社: Bompiani
  • 出版年: 2010-9
  • Introduzione

    È solo negli ultimi anni, con l’intervista di Dacia Maraini nel 1986 e poi con quella di Alain Elkann nel 1988, che Moravia è finalmente indotto a parlare più distesamente dei Rosselli. Ne emerge un rapporto complesso, nel quale possiamo distinguere tre sentimenti, tra loro implicati ma molto diversi.

    Il primo è senza dubbio quello di gratitudine e affetto per la zia Amelia, sempre sottolineati nelle memorie di quegli anni, e illuminati adesso dal loro intenso carteggio degli anni Venti. Ma subito dopo Moravia ricorda un’istintiva, non ideologica e non consapevole diffidenza, da ragazzo, verso lo stile di vita, le abitudini intellettuali e gli ideali politici dei parenti fiorentini. Essi gli apparivano “ingenui”, non “attuali”, “illusi e ottocenteschi e con un sacco di idee generose ma poco pratiche nella testa”, gli facevano un “effetto strano come di gente veramente per bene e per questo destinata ad andare a gambe all’aria” (Moravia 1990, pp. 16 e 19). D’istinto percepisce un contrasto tra passato e moderno. “Avevo sedici anni e non mi occupavo di politica. Ma avevo sempre provato antipatia per il fascismo e al tempo stesso sentivo, in maniera contraddittoria, che gli antifascisti erano perdenti.” Al loro confronto egli si sentiva paradossalmente più “smaliziato”, dotato della “sensibilità moderna che era propria anche dei fascisti” (Moravia 1990, p. 19).

    È questo un punto fondamentale. Moravia proveniva da un ambiente e da uno stile di vita completamente differenti da quelli dei Rosselli. Per formazione, per abitudini familiari, per l’isolamento forzoso della malattia, era del tutto digiuno di cultura politica e sostanzialmente ignaro del dibattito storico, sociale e politico che occupava interamente l’ambiente di Salvemini e dei Rosselli. Socialismo, liberalismo, legalità, democrazia parlamentare per lui erano termini pressoché vuoti, che richiamavano alla mente la lontana età risorgimentale. Moravia non aveva conosciuto la guerra e il dopoguerra, i conflitti sociali, i contrasti storiografici, ideologici e politici che erano invece, per i Rosselli, esperienza viva e quotidiana. L’unico orizzonte moraviano è quello claustrofobico di una borghesia priva di forti radici culturali e ideologiche, verso la quale si poteva avvertire un desiderio istintivo e in certo senso anarchico di “rivolta”, non certo un bisogno di lotta civile. Tra i motivi di incomprensione vi era anche un’implicazione più propriamente politica: la borghesia romana da cui Moravia proveniva era certo un terreno di coltura per il fascismo al potere, e in quel senso inclinavano infatti i suoi genitori, come abbiamo visto, laddove la borghesia democratica e intellettuale dei Rosselli costituiva un fenomeno minoritario in Italia. Ma è forse soprattutto sul piano letterario che il giovane Moravia registrava d’istinto e con sicurezza una sua diversa e più “moderna” sensibilità rispetto alle predilezioni e ai gusti di casa Rosselli. Le lettere alla zia testimoniano la sua scarsa simpatia verso una letteratura di impegno sociale come quella delle Commedie sgradevoli di Shaw, assai apprezzate in casa Rosselli, e l’antipatia evidente per intellettuali accademici come Guglielmo Ferrero, che “dottoreggiava” nel 1923 nel salotto della zia (Moravia 1988b, p. 31) e che nel 1926 pubblicò un romanzo ambizioso (“gente che ha ormai perso contatto con la vita moderna e le nuove correnti del gusto non dovrebbe mettersi a scrivere romanzi,” scrive seccamente alla zia).

    [...]

    Insieme all’affetto, dunque, ci fu sin dall’inizio un risentimento che facilmente dava luogo a un rifiuto più aspro e radicale: “Quanto ai miei cugini Rosselli, che conoscevo benissimo, quel che non mi ispirava simpatia in loro era proprio l’atmosfera borghese, fortemente borghese, voglio dire strettamente ideologizzante, in cui si mossero. La mia opposizione a questa atmosfera, più che politica, era emotiva, nasceva da risentimenti biologici, si voltava in rabbia, in rifiuto cieco” (Moravia 1971, pp. 72-73). Nei Rosselli Moravia identificò un modello di borghesia altrettanto e forse più intollerabile della borghesia vuota e sradicata dei Pincherle, proprio perché consapevole e solido, “ideologizzante” e morale. Come ha detto a Elkann, gli sembrava “la mentalità esemplare della famiglia ebraica, in cui tutti sono per bene, tutti perfetti, specchiati. Con dei grandi ideali risorgimentali. Capisci? Siccome il righteousness degli ebrei è di essere dalla parte dei giusti. Erano i giusti. Ed io invece… Non mi andava” (Moravia 1988b, p. 29). Questa “opposizione” rabbiosa ad alcuni dei valori positivi incarnati dai Rosselli, mentre ribadisce l’importanza del loro ruolo negli anni formativi dello scrittore, aiuta a capirne alcune scelte. Non a caso Amelia, nelle pagine memorialistiche scritte nel 1943, deplorava nell’opera del nipote quell’insistenza su “quanto l’umanità ha di più deprimente e basso” che tanto contrasta con la tensione “alta” dei Rosselli.

    2017-08-09 14:39:44 回应
  • Introduzione

    In certo senso l’ideologia funziona, nella narrativa moraviana, come un surrogato a carenze di ordine esistenziale e come un modo per accedere a una dimensione sociale e umana altrimenti negata. Dal punto di vista del romanziere, quindi, le convinzioni ideali e ideologiche non contano tanto per il loro contenuto quanto per la loro funzionalità psicologica. Ciò che a lui interessa nelle scelte di un personaggio non sono tanto le motivazioni razionali ed esibite, quanto quelle irrazionali e oscure.

    Questa riduzione psicologica delle ideologie novecentesche è particolarmente forte nel Moravia del dopoguerra. Già negli articoli del periodo badogliano, nel 1943, il fascismo è descritto come un’ideologia vuota e inconsistente che ha coperto e nascosto le più diverse spinte irrazionali degli individui [...]. Ma anche il comunismo, che pure ha una base dottrinaria ricchissima e persuasiva e che nel dopoguerra attrae lo stesso Moravia, viene considerato soprattutto per la suggestione irrazionale e per la “speranza” quasi religiosa che riesce a ispirare agli uomini, come scrive nell’immediato dopoguerra nel saggio della Speranza: “Ora domandiamo: che cosa conta di più nel comunismo, l’idea dell’avvento del regno della libertà oppure le lunghe e assai complicate spiegazioni di Marx sulle leggi interne del capitalismo? Senza esitazione noi rispondiamo che quello che conta soprattutto nel comunismo è l’idea dell’avvento della libertà. Vedremo poi come quest’idea fa del comunismo una delle grandi speranze dell’umanità, la più grande attualmente, erede e continuatrice di quella cristiana” (Moravia 1944, p. 23).

    In questa prospettiva interessavano assai meno al Moravia scrittore le “terze vie”, le ipotesi politiche fondate sul metodo del confronto e del dibattito democratico, su ragioni civili ed etiche vissute individualmente e assunte consapevolmente, sul rifiuto dell’irrazionalismo e della violenza. Certo, come intellettuale antifascista e avverso al totalitarismo sovietico, la sua collocazione politica del dopoguerra non è lontana da quella degli amici dei Rosselli, come nella collaborazione al “Mondo” di Pannunzio, o in alcuni temi quali l’auspicio paradossale di un “comunismo liberale” (Moravia 1944, p. 28) che ricorda da vicino la formula del “socialismo liberale” di Carlo Rosselli; o come la prospettiva di un nuovo “umanesimo”.

    Ma la sua narrativa del dopoguerra, impegnata a fare i conti col passato, preferisce per soggetto le figure ambigue e tormentate rispetto a quelle consapevoli e dichiarate. Non è un caso che uno dei personaggi prediletti di questi anni sia appunto il fascista e non l’antifascista, l’uomo che tradisce le proprie idee e non certo le figure esemplari e coerenti. [...] Non si tratta evidentemente di un’opzione politica, ma della decisione di capire “dal di dentro” quanto è successo in Italia.

    2017-08-09 14:44:39 回应
  • Introduzione

    [Il conformista]

    La decisione di scrivere un romanzo “non per i Rosselli, ma su i Rosselli” (Moravia 1990, p. 109), per rappresentare “il fascismo dalla parte del fascismo” (Moravia 1971, p. 74) – non per appoggiarne le tesi ma per comprendere come sia potuto accadere – conferma da un lato la scarsa pietas familiare di Moravia, ai limiti del cinismo e dell’ingratitudine; e così infatti è stato recepito perlopiù inevitabilmente in ambienti vicini ai Rosselli, incrementando invece di lenire il contenzioso familiare aperto già dal silenzio epistolare dello scrittore. Ma d’altro lato, in quanto opera necessaria, Il conformista conferma in modo clamoroso quanto Moravia fosse coinvolto “traumaticamente” dalla vicenda Rosselli; conferma il ruolo che nell’ideologia narrativa moraviana svolgono temi “rosselliani” (il nesso vissuto tra pensiero e azione o la giustificazione dell’azione); e documenta l’estremismo dello scrittore, deciso a perseguire la propria ispirazione fino in fondo, a costo di toccare radici intime del proprio essere, senza preoccuparsi del giudizio altrui. Nella decisione di scrivere un romanzo che facesse i conti col fascismo, Moravia individuò nella tragedia dei Rosselli e nel proprio rapporto con essa – necessariamente – il materiale vissuto capace di far luce su quegli anni; e decise di giocare la carta più difficile, quella che non faceva sconti a nessuno, tantomeno a se stesso.

    La tesi del romanzo, assai suggestiva, proviene dalla riflessione già citata del 1943, secondo cui l’adesione al fascismo non corrispondeva a contenuti ma copriva le spinte irrazionali e oscure più varie. Il “conformista”, infatti, non è affatto un fascista tipico. Per educazione e sensibilità Marcello Clerici – come il Michele Ardengo degli Indifferenti – è quanto di più lontano si possa immaginare dal fascismo, di cui non condivide pressoché niente: ideologia, culto del capo, demagogia, retorica, fanatismo, arroganza, violenza, prepotenza, maschilismo, oscurantismo. Niente di tutto ciò. La fisionomia interiore di Marcello è semmai quella di un antifascista. Il suo fascismo non nasce dunque da convinzioni razionali, ma è una fuga da sé, dal proprio passato, da una vera o presunta anormalità – follia, omosessualità, antifascismo – che lo terrorizza. [...] Lo Stato infatti ha il potere di “assolverlo”, ma il prezzo che egli deve pagare è un prezzo di sangue. [...] In quanto rovesciamento dei valori, il fascismo garantisce una normalità a chi vi si conforma, ma sarà una normalità rovesciata, che ammette e anzi chiede il tradimento, la delazione, il delitto. È una tesi priva di valore politico e ideologico, ma tutt’altro che priva di valore psicologico.

    Nel personaggio di Quadri vi è sicuramente Carlo Rosselli [...]. Ma nel Conformista Moravia non si occupa affatto della vicenda e della memoria di Carlo, come avrebbero fatto un romanzo storico o un pamphlet polemico. A Moravia interessa un sentimento oscuro che egli isola come nodo problematico irrinunciabile e in qualche modo rappresentativo di un’intera epoca. Un sentimento oscuro che aveva conosciuto e vissuto nel suo rapporto col cugino, ma che vale a prescindere dal dato storico e biografico. Il romanzo per Moravia è sempre lo strumento per chiarire un’oscurità, non il luogo in cui affermare un messaggio, un’opzione politica o una recriminazione privata. Il conformista è volutamente costruito intorno a questo sentimento istintivo di antipatia e di rancore – quindi non intorno a un giudizio razionale – per ciò che Quadri rappresenta. Su questo piano non vi è più nulla di gratuito, ma vi è anzi una forte necessità interna.

    Nell’ideare il personaggio di Marcello certo Moravia tenne conto delle vere spie che avevano attorniato Rosselli, come Del Re o Antonini (Festorazzi 2009, p. 241). Ma Il conformista non è un romanzo storico, e in Marcello è ben riconoscibile il caratteristico personaggio moraviano, portatore di istanze autobiografiche e di episodi “vissuti” dello scrittore. Per esempio, ritroviamo nel Conformista la situazione autobiografica dell’episodio Meloni del 1930 che abbiamo ricordato: Quadri chiede a Marcello di imbucare una lettera in Italia, e alle esitazioni di Marcello risponde in termini del tutto analoghi a quelli usati da Carlo Rosselli con il cugino (“‘Ma se mi scoprono, finisco in galera.’ Quadri sorrise e disse scherzosamente: ‘Non sarebbe un gran male… anzi, per noi sarebbe quasi un bene… non sa che i movimenti politici hanno bisogno di martiri e di vittime?’”, Moravia 1951, p. 263). Particolarmente inquietante, in questo senso, è la fisionomia di Marcello come traditore. Il senso di colpa e di tradimento che diviene esplicito nel Conformista non riguarda ovviamente responsabilità positive. Erano sufficienti episodi come quello, che abbiamo ricostruito, del 1935, quando Moravia, posto di fronte all’alternativa, dovette venire a patti con il fascismo e prendere le distanze da un antifascismo che al di fuori della clandestinità o dell’esilio non aveva prospettive per uno scrittore; e soprattutto erano sufficienti frequentazioni con personaggi tanto implicati nell’omicidio stesso dei Rosselli, come Ciano, Anfuso, Antonini. Tutto ciò dovette pesare come un rimorso o un tradimento dopo il delitto. È un’ammissione dolorosa e radicale, quasi che si sentisse in qualche modo responsabile della morte del cugino. Di più Moravia non poteva fare. Coloro che hanno rimproverato allo scrittore di aver trattato con leggerezza temi tanto drammatici e dolorosi non hanno capito quanto questo romanzo può essergli costato, e quanto in profondità egli si rapportasse con gli eventi vissuti.

    Il romanzo non faceva sconti, non leniva ferite, non cercava conciliazioni facili. Tanto più colpisce l’intelligenza e la forza di Amelia Rosselli, già ottantenne, in quell’occasione. Rompendo un silenzio ormai pluriennale, riallacciando quasi naturalmente il filo di un discorso interrotto, ella “che aveva il pudore del suo cuore ferito” (Salvemini 1955b) scrisse allora al nipote. Non sappiamo esattamente che cosa dicesse nella lettera, che è andata perduta. Certo – e lo sappiamo dalla lettera di risposta di Moravia, l’ultima dell’epistolario – Amelia continuava a non amare nel nipote e nelle sue opere quell’attrazione verso gli “aspetti bassi” della vita, tanto opposta alla scelta dei Rosselli per ciò che è “alto”. Tuttavia ella mostrò di “capire”.

    "Tu hai mostrato di capire il senso del libro e il suo intento, cosa molto più difficile per te che per i tanti critici che invece non hanno capito nulla. Sopratutto mi fa piacere che tu abbia apprezzato la pagina sui due, nel bosco. Io ho scritto quella pagina per i tuoi figli, soltanto quella pagina e lì ho espresso il profondo sentimento che aveva destato in me la vostra tragedia."

    Nonostante il dolore, Amelia seppe “capire il senso del libro”. Probabilmente è troppo immaginare che il messaggio così controverso, discutibile e ambiguo del Conformista fosse un messaggio e quasi un’ultima lettera destinata proprio a lei. In ogni caso, col suo gesto Amelia diede, ancora una volta, una straordinaria lezione di sensibilità e di forza interiore. Di chi al proprio dolore aveva saputo dare un senso senza rimanervi rinchiusa.

    2017-08-09 15:09:51 回应

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